Autore: Ken Saro-Wiwa
Editore: Baldini Castoldi Dalai


Ho ricevuto questo libro come regalo di Natale. Prima di allora ero già stato sul punto di comperarlo, non per me ma come regalo per la mia ragazza. In realtà non cercavo esattamente Sozaboy, non sapevo neanche che esistesse un libro con questo titolo. Cercavo un altro romanzo di Ken Saro-Wiwa che avevo visto ad un convegno dove si parlava della situazione del popolo Ogoni nel Delta del Niger. La mia ragazza era tra le relatrici perché le era stato chiesto di esporre la sua tesi di laurea che trattava, appunto, delle violazioni dei diritti umani – perpetrate da parte delle compagnie petrolifere, tra cui anche l’italiana ENI – nei confronti del popolo Ogoni.
Poco tempo prima di quel giorno in libreria, tuttavia, Roberto Saviano aveva citato Ken Saro-Wiwa in uno dei suoi discorsi e, così, Sozaboy era diventato improvvisamente un bestseller. Per questo motivo è il primo libro che mi è stato dato tra le mani nominando Ken Saro-Wiwa alla commessa e, sempre per questo motivo, Sozaboy mi è stato regalato a Natale.
La prima volta che ho visto il libro alla Feltrinelli non ero molto motivato a leggerlo. Oltre al fatto che il titolo, a mio parere, è una scelta editoriale sbagliata che non invoglia per niente alla lettura, era soprattutto lo stile narrativo che si intuiva dalle prime righe a non attirarmi. Se lo leggerete anche voi, scoprirete quanto mi sbagliavo.
Ad una prima lettura superficiale, il libro sembra scritto da una persona che non è andata a scuola o che comunque non ha le abilità linguistiche per scrivere qualcosa di più del suo nome. Il punto è che il romanzo è la narrazione in prima persona di un ragazzo che effettivamente non sa né leggere né scrivere (o quasi)! Il protagonista, Meme, è un giovane abitante di Dukana, piccolo e sereno villaggio nigeriano. Ciò che il mondo è per lui emerge poeticamente – e qui si vede la grandezza dello scrittore/poeta Saro-Wiwa – dalle semplici parole con cui racconta, candidamente, le vicende che gli accadono.
Ed è al Candido di Voltaire che potrebbe essere paragonato questo “romanzo di formazione”, con la differenza che nel Candide le vicende erano narrate in terza persona con uno stile ed un registro linguistico proprio dell’autore; in Sozaboy l’ingenuità e la purezza del protagonista emergono dagli “usi atipici e financo anomali di avverbi, tempi e modi verbali, congiunzioni ecc.” che “non sono sgrammaticati bensì soltanto «fuori norma», extralinguistici, per così dire, rispetto alle consuetudini della nostra lingua” . L’impressione che mi resta è proprio quella di un romanzo diverso, al di fuori delle consuetudini, proveniente dalla fusione della lingua inglese con una cultura da noi molto lontana, quella Nigeriana, che tuttavia è al contempo vicina alle nostre origini, a quando anche per noi “il mondo era così recente che molte cose erano prive di nome e per citarle bisognava indicarle col dito” – giusto per citare anche il mio romanzo preferito, Cent’anni di solitudine.
La storia parla di Mene, un giovane apprendista autista che viene travolto dalle vicende della guerra civile, costretto ad abbandonare la ragazza da poco conosciuta e sposata - «con quella razza di tette che si porta dietro» - per arruolarsi, guadagnandosi il soprannome di Sozaboy.
Ma la trama la potete trovare in molti altri posti e non voglio raccontarvela qui. Voglio solo consigliarvi vivamente di leggere questo bellissimo romanzo. «Credetemi, sinceramente vostro.»
Dario Pagnoni
22 anni
dario.pagnoni(at)gmail.com
mi hai convinto ad acquistarlo
RispondiEliminaBene, perché mi rendo conto che come critico letterario sono un disastro e questo post non è niente di speciale..
RispondiEliminaSemplicemente volevo consigliare a tutti questo libro che mi ha piacevolmente stupito e mi è piaciuto molto.