sabato 10 aprile 2010

Articolo 18

__________ di Angelo Rinaldi ____________________


Da oggi aggirare l’articolo 18 è possibile. Basta depotenziare le tutele dei lavoratori isolandoli nel contenzioso con i datori di lavoro e delegando la soluzione delle controversie agli arbitrati tra le parti invece che al giudizio di un magistrato. Basta stabilire sin dal contratto di assunzione (in deroga rispetto ai contratti collettivi) che qualsiasi controversia tra lavoratore e azienda sarà affidata a un arbitro e non a un giudice. Si tratta di una delle norme più preoccupanti del ddl lavoro.

Ma il ddl ne contiene molte altre di norme che scardinano il diritto del lavoro e indeboliscono le tutele.
Fior di giuristi hanno denunciato l’operazione finora sotterranea e vincente del governo e della maggioranza, ben attenti a non ripetere lo scontro frontale del 2002.

La Cgil ha lanciato l’allarme da mesi.

Per quanto riguarda le controversie di lavoro, tra cui quelle legate al trasferimento di azienda e al recesso viene limitata la competenza del giudice e viene privilegiato il canale dell'arbitrato e della conciliazione. Una norma che sottrae “in una molteplicità di casi  la tutela dei diritti dei lavoratori alla giurisdizione ordinaria, nel cui ambito la specializzazione del giudice del lavoro era stata da sempre considerata un valore primario. Per di più questa disposizione, per un verso, consente che gli arbitri decidano secondo equità (ossia senza il doveroso rispetto di leggi e contratti collettivi) e, per altro verso, stabilisce che la clausola compromissoria possa essere inserita anche all’atto della stipulazione del contratto individuale di lavoro certificato, vale a dire nel momento in cui è evidentemente più debole la posizione del lavoratore che aspiri all'occupazione.

E’ bene ricordare che il ddl lavoro “porta sostanzialmente a una forma di arbitrato obbligatorio, che farebbe saltare le forme tradizionali delle tutele contrattuali e delle libertà dei lavoratori di poter ricorrere a queste scelte”. Si tratta  di “una vera e propria controriforma delle basi del diritto del lavoro italiano”. In questo modo, “naturalmente si rende il lavoratore più debole. Se lo si fa addirittura nel momento del suo ingresso nel lavoro lo si segna per tutta la vita”.

Angelo Rinaldi

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